Quattro, zitti e a casa

Roberto Beccantini27 settembre 2016

Nel giorno in cui Francesco Totti ha compiuto 40 anni, ricorrenza per la quale – come tutti voi – mi sono alzato in piedi e ho applaudito, il risultato di Dinamo-Juventus mi ha ricordato il «quattro, zitti e a casa» che proprio il capitano mimò sul grugno di Igor Tudor dopo un rotondo 4-0 che la Magica aveva inflitto a Madama.

Dunque: quattro come i gol di Pjanic, Higuain, Dybala (alleluja) e, ma sì, Dani Alves, uno che più sbaglia mira più segna. Zitti, perché non è proprio il caso di gonfiare il petto, anche se i topi d’archivio hanno già tirato fuori i due pareggi in Danimarca. E a casa, o meglio ancora: a Empoli, perché colà la Juventus giocherà domenica a pranzo (e verosimilmente troverà più filo spinato di quello riservatole dallo sterile Palermo e dall’acerba Dinamo).

Sono, queste, le classiche partite che spingono a pensare che in Europa non sia poi così diverso come scrivo da anni. Calma. La Juventus ha giocato con pazienza, tra gli sbadigli degli stessi Khedira e Hernanes. Benino Pjanic nel ruolo di mezzala, benino Higuain nei panni di Zorro (stop di petto, piatto sinistro), benino il «generoso» Dybala, aggettivo che gli attaccanti, dai tempi di Ciccio Graziani, non vorrebbero mai indossare.

La fase difensiva ha concesso una traversa (sull’1-0) e una mezza occasione: briciole in assoluto, un po’ di più in rapporto al livello degli avversari. Gli zero ammoniti la dicono lunga sulla temperatura ambientale (in campo, almeno). Ha giocato con pazienza, la Juventus, e la pazienza, per Arrigo Sacchi, significa intelligenza. E’ stata come un’operazione in anestesia locale, quando, tu paziente, non sai cosa sbirciare: se il bisturi che ogni tanto il chirurgo agita o, mezzo rinco, il cielo nella stanza.

Girotondi di Cuadrado, graffi di Pjaca, smorfie di Mandzukic. Lentamente, lentamente. E ancora tanti auguri, Pupone.

L’harem

Roberto Beccantini24 settembre 2016

Sembrava un harem, la Juventus di Allegri, con i suoi nomi a tocchettare attorno a clienti dal fiero cipiglio, indecisi (i nomi) se adescarli di punta o di tacco. C’erano i nervosi (Mandzukic), i generosi (Higuain), i narcisisti (Pjanic, Dani Alves), i baciati dalla grazia (Dani Alves, ancora).

Il Palermo che De Zerbi aveva ereditato da Ballardini, ha giocato con il cuore. La Juventus, con zeppe-grattacielo che le facevano sbagliare persino gli appoggi più docili. L’infortunio di Rugani ha liberato Cuadrado e partorito un 4-3-3 che ha sollevato molta cipria. Parafrasando Celentano: la dove c’era l’erba ora c’è Leminà. Con tutto il rispetto. Il centrocampo viveva dei classici colpi di tosse che dà un motore quando batte in testa. I sei ammoniti del primo tempo indicano quanto gli approcci fossero ruvidi, e i tacchetti – di qua e di là – a spillo, molto a spillo.

Fuor di metafora, un Palermo tosto e una Juventus svagata, grigia, di una bruttezza indicile, senza nemmeno le gocce di fantasia che, di solito, distilla la botte di Dybala. Le squadre di Allegri non sono accademie delle belle arti: c’è però un limite anche alle grandi bruttezze, non giustificabili solo con le parate del portierino avversario o l’ennesimo infortunio di Asamoah, che ha lasciato l’harem in dieci.

Il golletto che ha spaccato il risultato – sventola di Dani Alves, la «mezzala» più raffinata oggi in rosa, tacco di Goldaniga – appartiene al fondoschiena delle Signore che seducono il destino anche quando non ne hanno voglia: e, proprio per questo, scelgono i capi più grezzi. Allegri è allegro, beato lui. I risultatisti sbandierano il più dieci (in classifica) rispetto a un anno fa. I prestazionisti si turano il naso. L’harem è atteso a Zagabria e poi a Empoli. L’allenatore brindava a Cuadrado terzino e Higuain mediano. Questione di schemi, di alluci, di smalto. Appunto.

L’autuno caldo

Roberto Beccantini21 settembre 2016

Cosa volete che siano cinque giornate. E allora allarghiamo l’analisi. Classifica di un anno fa: Inter 15, Fiorentina 12, Sassuolo 11, Chievo, Sampdoria e Torino 10. Poi, in ordine sparso, Milan e Lazio 9, Roma 8, Napoli 6, Juventus 5. Oggi, invece: Juventus 12, Napoli 11, Roma, Chievo e Inter 10, Milan 9, Lazio e Fiorentina 7 (con una partita, o quasi, in meno).

Sono tutte lì. Domenica, Sarri aveva scavalcato Allegri e preso la testa. Tre giorni dopo, Allegri lo riscavalca e se la riprende. Il capocannoniere è lo stesso di due stagioni orsono, Icardi: sei reti delle sette raccolte dall’Inter. E Bacca, cinque delle otto firmate Milan. A proposito: in estate, il colombiano era sul mercato. E Montella aveva dato l’ok. Sic transit sedere mundi.

La Signora che veste Pjaca (solo nel finale, però) ha sette punti in più, il Napoli cinque. Non ho seguito l’ordalia di Marassi, ma un pari ci può stare, visto che il Genoa di Juric è un osso duro.

Per la prima volta, de Boer ha vinto, a Empoli, senza dover rimontare. Per una volta, non ha segnato Milik. Ho visto Juventus-Cagliari. Non c’è stata partita. La Juventus veniva dalla lezione «olandese» di San Siro; i sardi, infarciti di ex, hanno fatto la fine del Sassuolo, travolto subito, senza avere la forza, a differenza degli emiliani, di alzare la voce. Un solo brivido, sull’1-0, da una palla persa di Pjanic: il fuorigioco di Murru ha cancellato un rigore (su Murru).

Higuain era titolare. Un gol e mezzo (quello di Rugani), un palo e progressi palesi ancorché facili. Bene, sulle fasce, Dani Alves e Alex Sandro. E Dybala? Ancora a zero (contro i due gol del torneo passato), gioca molto per gli altri: finché dura, finché si diverte. C’era Hernanes in mezzo, Pjanic mezzala. C’erano, soprattutto, una voglia feroce e avversari timidi.

Prepariamoci a un autunno caldo, molto caldo.